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«Per noi il rapporto col medico di famiglia in ospedale sarebbe fondamentale – afferma Celano –. Purtroppo è una cosa ancora lasciata alla scelta dei singoli, mentre si dovrebbe strutturare in modo organico. Il paziente è in cura dal suo medico di base, se succede un evento acuto e viene in ospedale, ma poi torna dal medico di base e per questo è importantissimo conservare tra di noi un rapporto costante. È un problema di organizzazione e di cultura, da superare senza più ipocrisie».
Panti concorda. E non rinuncia all'autocritica: «La sanità ospedaliera si sta adeguando alle necessità del sistema, mentre la medicina generale è rimasta indietro nonostante gli sforzi dei sindacati. La medicina generale va cambiata alla base e quella negli studi, magari con quaranta persone in sala d'attesa, è finita. Il futuro è in una sorta di poliambulatori, di centri della salute, dove i medici lavorano insieme e svolgono una serie di attività rilevanti per cronicità, medicina d'iniziativa e così via, ma il medico che ripete le ricette e misura la pressione non deve esistere più: ci pensi l'infermiere».
Già, gli infermieri. Che, come tutte le altre professioni sanitarie non mediche, sono una specie di via crucis per i dottori. Ma questo sarebbe un altro libro da scrivere.